e sempre di mirar faceasi accesa (Par. 33.99)
e sempre di mirar faceasi accesa (Par. 33.99)

Un “Purgatorio” molto terreno

Marco Martinelli e Ermanna Montanari continuano la loro rilettura delle cantiche dantesche, questa volta partendo da Matera e poi da Ravenna verso il Purgatorio. Come già per l’Inferno nel 2017, lo spettatore è davvero coinvolto con tutta la sua persona, seguendo un rito che lo conduce a rendersi conto dei tanti ‘peccati’ che ogni giorno accadono nel mondo senza che ciascuno di noi faccia abbastanza per impedirli o almeno per non commetterli. Dopo l’arrivo all’Antipurgatorio con il nobilissimo veglio Catone, che a Ravenna si colloca proprio davanti alla tomba del Poeta, si percorrono parecchie strade, al suono di trombe e di canti celestiali. E prima di entrare nelle varie cornici del monte, si viene marcati da alcuni bambini-angeli in grembiulino scolastico con una P in fronte, ovviamente da far cancellare al termine del viaggio.

Un viaggio impervio e purificatorio sin dall’inizio, quando si incontrano Pia e tante altre donne morte violentemente disposte su una scala antincendio, pronte a ricordare la loro vita, anche solo con poche frasi: ma alla fine si farà avanti pure un uomo giovane e bello che racconta, allucinato, la sua vicenda di assassinato: è l’ultimo erede dell’imperatore Federico II, il Manfredi morto scomunicato. Si deve poi affrontare un lungo percorso con una serie di tappe in classi scolastiche, dove si deve imparare a superare gli errori più tipici del Trecento come del nostro tempo: dalla superbia con Oderisi da Gubbio alle false certezze sulle nostre ragioni, che non sono niente, in una classe multietnica dove si parlano tutte le lingue del mondo, magari con suoni dissonanti, e non ci si capisce se non si apre il cuore agli altri, consolando i dolori con una carezza. E l’Italia stessa non si salverà, visto che ormai è come una grandissima mappa geografica rovesciata, dominata da iracondi che non praticano la giustizia: il grido “Ahi, serva Italia…” è emesso in tante lingue ed è spiegato da Marco Lombardo a tutti gli spettatori.

I quali poi devono ancora ascoltare le parole del papa Adriano V e del re di Francia Ugo Capeto, ridotti all’umiltà come contadini in un orto, e devono attraversare un muro di fuoco che si apre per poter finalmente arrivare all’Eden. Qui scompare Virgilio e torna Beatrice, però lo spettacolo-rito si concentra soprattutto su quattro giovanissime Matelde, vestite non a caso come Greta Thunberg, con un inconfondibile impermeabilino giallo, e intente a salvare le poche piante rimaste: ci chiedono di impegnarci a fondo per la terra e per non azzerare il loro e il nostro futuro, prima di toglierci, una volta che siamo ridiventati puri e disposti a salire alle stelle, la P che ancora avevamo in fronte.

Un’attualizzazione non banale, arricchita di tanti riferimenti a pensieri di scrittori e artisti (da Whitman a Beuys), che rende luoghi quotidiani, come i giardini di una casa di riposo e il retro di alcuni palazzi, spazi dotati di un’atmosfera soprannaturale: davvero il Teatro delle Albe ci spinge a farci coinvolgere interamente da Dante, come lui stesso avrebbe voluto.

A Ravenna sino al 14 luglio 2019; dopo l’estate in varie città d’Italia.

Sito: http://www.teatrodellealbe.com/ita/spettacolo.php?id=993&PosPadre=8