e sempre di mirar faceasi accesa (Par. 33.99)
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La materia di Dante

Ambrogio Camozzi Pistoja, La materia di Dante, Ravenna, Longo, 2024

La nozione di una materia che soggiace è tra i più duraturi strumenti concettuali della tradizione speculativa occidentale. La materia come sostrato serve ad Aristotele per spiegare concetti chiave tra cui la potenzialità, il cambiamento e la composizione delle sostanze nel mondo naturale. L’analogo biblico è il concetto di tehom, la terra inanis et vacua di Genesi, polvere impalpabile che recepisce il fiat luminoso e vibrante di Dio, e organizzandosi dà consistenza al cosmo sensibile. Nelle poetiche ilemorfiche dei classici (Virgilio, Ovidio) e dei medievali (Bernardo Silvestre, Alano di Lilla), la materia si registra come chaos, silva, dal greco hyle, ammasso informe, fluido, “legnoso”, da cui la Natura e il poeta – che con Essa gareggia – traggono in essere le forme del reale e della finzione, quelle della storia e del mito.

La materia di Dante è uno studio della poetica della Commedia riletta alla luce di questo principio materico fondamentale, nelle sue valenze metafische, poietiche e, infine, codicologiche. Il libro è scritto come uno studio (étude), una forma di scrittura accademica atipica nella critica dantesca e, in generale, negli studi italiani. Le pagine si sviluppano come un esercizio di pensiero, che accetta di procedere anche quando il discorso si fa opaco e contraddittorio, come avviene, per l’appunto, quando l’oggetto del trattare sia la prima materia, chōra, figura retorica per la «radicale anonimità di ogni nome» (Derrida, 1987). «Certe cose», scrive Dante, «[si] affermano essere che lo intelletto nostro guardare non può, cioè Dio e la etternitate e la prima materia» (Conv. 3.15.6). La scelta della forma studio non è dettata da nostalgia né tanto meno da estetismo, ma è un prodotto dell’oggetto stesso, un’idea che più di altre si sottrae al linguaggio come trasmissione neutra di contenuti, a scritture – oramai quasi perfettamente automatizzabili – in cui la lingua viene addomesticata per non disturbare, seguendo strutture argomentative prevedibili, formalmente impeccabili, e concettualmente deboli.

Il libro si articola in undici brevi capitoli. I primi due (Ergasterio e La prima onda) e l’ultimo (Akedah) sono dedicati alla planimetria del poema e all’uso di strutture numeriche e rimiche per arginare i processi di deterioramento tipici della trasmissione manuale dei testi antichi. Il terzo, quarto e quinto capitolo sono dedicati alla cosmologia della materia dantesca (Proteo), la sua inerzia (Hével) e, infine, il suo costante fluire (L’ultime fasce). Il sesto, settimo e ottavo capitolo (I sacri arredi, Il canto del villano e Bugonia) esaminano le ragioni che avrebbero portato Dante a collocare la sua lectio poetica de materia nella settima bolgia, in compagnia di Vanni Fucci, il ladro fraudolento di sacri arredi. Tale scelta si legherebbe al furto dei primi canti della Commedia da un convento a Firenze all’inizio del 1307, mentre Dante si trova al soldo di Moroello di Malaspina, in Lunigiana. Il nono capitolo è dedicato al Proteo dantesco, Gerione, «ver c’ha faccia di menzogna» (If 26.124), manifesto della poiesis metafisica e multivocalica di Dante giunta a maturazione. Il decimo capitolo, Materiologia, organizza le ipotesi relative alle caratteristiche materiali del libro d’autore della Commedia, quell’oggetto fisico che l’esule fece tempo a imbastire ma che non vide completato, morendo a Ravenna il 14 settembre del 1321.

 

Per l’immagine: AnnePatrickPoirier-Enfer-2020.-Courtesy-gli-artisti-e-Galleria-Fumagalli.-©Adagp-Paris.-Foto-©jcLett