Donato Pirovano, Dante e il mare, Roma, Donzelli, 2025, pp. 312.
Nel suo viaggio oltremondano Dante rasenta una volta sola il mare. È il «mar che la terra inghirlanda», visto da un’isola a sua volta da esso inghirlandata, alla quale è pervenuto dalle viscere del globo terrestre.
Ora, in quel sacro mattino di primavera, sul lito di fronte al «pelago» australe, la memoria di Dante non può dimenticare – tanto che quel racconto si è già sedimentato in cristalli poetici che «tremulano» – che sotto questo stesso «suol marino», a non molte braccia di mare di distanza da questa stessa riva, è sepolto il «legno» di Ulisse, colui che convinse i compagni a seguirlo nel «mondo sanza gente». La memoria di Dante, inoltre, non può dimenticare che nello stesso mare australe che vede tremolare alle prime luci del mattino è precipitato nei primi istanti della creazione anche Lucifero. Il diavolo ha toccato il mare perché la parte di terra che affiorava in questa parte del mondo si sommerse sotto l’acqua oceanica per paura dell’angelo ribelle, e riemerse poi nell’emisfero boreale.
Se l’oceano è l’unico ambiente che Dante personaggio rasenta, occorre, però, ammettere che durante il viaggio oltremondano non manca anche la visione del Mar Mediterraneo, sfondo di molti racconti di secondo grado, dalla «marina dove ’l Po discende / per aver pace co’ seguaci sui» dove si trova la città di nascita di Francesca, passando per il mare presso Cattolica, lo stretto di Cariddi, il porto di Talamone, l’isola di Creta, Venezia con il suo arsenale, e infine lo stupore di Nettuno che nel suo regno incontaminato vede «l’ombra d’Argo». Il mar Mediterraneo è disegnato pure nelle parole di Folchetto di Marsiglia e la cartolina aerea sembra tratta da una carta nautica come per esempio la Carta pisana.
Il mare innerva poi la struttura retorica del poema, come dimostrano per esempio i miti degli Argonauti, di Ero e Leandro, della Sirena, di Glauco, di Gerione – che vola come se nuotasse –, e molte delle similitudini a partire dalla prima in cui Dante, fuoruscito dalla selva in cui si è smarrito, la guarda con intensità e spavento, come il naufrago che uscito con respiro affannoso fuori dal mare in cui ha rischiato di annegare, una volta raggiunta la riva, si volge a fissare le acque dalle quali si è salvato. C’è poi un’immagine marina che corre lungo tutta la Commedia ed è quella della poesia come navigazione, come dimostrano per esempio le immagini che aprono la seconda e la terza cantica.
Se il mare domina nel poema non manca anche in alcune opere minori come nel famoso sonetto Guido, i’ vorrei che tu e Lapo e io, in cui Dante vagheggia un romantico viaggio per mare in compagnia di due suoi amici, Guido Cavalcanti e Lapo Gianni, ciascuno accompagnato dalla propria amata. Figure retoriche legate al mare si riscontrano anche nel Convivio e nel De vulgari eloquentia: l’esule Dante, come una nave senza vela e senza timone, spinta dal vento della dolorosa povertà, è stato trasportato per diversi porti, insenature e spiagge; ed egli stesso confessa che nella sua condizione di esule la propria patria è ora il mondo come il mare per i pesci.
Questa fitta presenza del mare nelle opere di Dante è suggestiva e degna di curiosità perché – alla luce delle esperienze biografiche ricostruibili – egli potrebbe non aver mai solcato il mare a bordo di una nave, tanto che efficacemente Piero Boitani l’ha connotato come scrittore «terragno e terrigno».